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Mondiali 2018, la Russia resiste ma per Qatar 2022 si riaprono i giochi?

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Dimenticate la Coppa del mondo giocata in democrazia, si è detto, le proteste per il carovita e il caos organizzato della società tropicale. Tra quattro anni si va in Russia e c’è già chi immagina una versione ipocrita del pallone, giornalisti che scrivono, ma non tutto, si scansano, annacquano i reportage o comunque raccontano una realtà irreale, artefatta, come nell’Argentina del ‘78, quando Mario Kempes era la figurina che copriva i Garage Olimpo di Videla.

Vladimir Putin, in tribuna al Maracanà – approfittando anche del vertice dei Brics che si apre oggi a Fortaleza – ha fatto capire che nel 2018 tutti dovranno essere orgogliosi di essere russi. Scommessa azzardata, perché il calcio, come il Brasile ha vissuto sulla propria pelle, è materia difficile da pianificare, i talenti non nascono in laboratorio e l’ultima nidiata di giocatori ha poco da spartire con l’epopea di Lev Jascin o quella di Rinat Dasaev. Scommessa rischiosa, se è vero che il Mondiale messicano del ‘70 vinto da Pelè portò consensi al regime militare, ma il Maracanaço del 1950 fu una catastrofe politica per i generali che avevano defenestrato Getulio Vargas e volevano legittimarsi nelle urne.

Ma si giocherà certamente in Russia? Poco più di un mese fa, quando emersero i primi indizi sulla presunta corruzione che aveva portato ad assegnare la Coppa 2022 al Qatar, gli inglesi, beffati da Putin nella corsa al 2018, colsero la palla al balzo. Ragionamento semplice: se il comitato è corrotto, non può esserlo a fasi alterne. Se alcuni membri della Fifa sono stati pagati per votare Qatar, non si capisce perché abbiano scelto la Russia senza ricevere nulla in cambio. Putin, a differenza di Cameron, non si è neppure scomodato per andare a Zurigo e perorare la propria causa. Sapeva già che avrebbe vinto. L’ex ministro dello sport, il laburista Gerry Sutcliffe, ha tratto le conseguenze di questa linea interpretativa: bisogna votare nuovamente per stabilire chi deve organizzare la prossima edizione della Coppa.

L’ipotesi resta improbabile. Al momento non ci sono prove di un’eventuale corruzione a favore di Mosca. La Russia non è il Qatar. Ha una solida tradizione calcistica e le condizioni climatiche, a giugno, sarebbero buone. Quanto alla politica, «se un paese post comunista organizzasse per la prima volta il Mondiale sarebbe una svolta», ha detto il ministro dello sport, Vitaly Mutko.

D’altronde, i diritti umani non sono mai stati un intralcio per l’organizzazione di eventi sportivi. Le Olimpiadi del 2008 si sono svolte a Pechino, non proprio un paradiso di libertà. Ma nel caso del Qatar c’è di più. Non ci sono solo gli operai morti durante la costruzione degli stadi – più di mille, sinora, secondo Amnesty International – a causa delle scarse condizioni di sicurezza, o la miriade di lavoratori sfruttati e sottopagati. C’è un problema di date, perché in estate giocare a pallone sulle rive del Golfo Persico è impossibile, malgrado le montagne di rial riversabili in investimenti tecnologici, e spostare la Coppa in inverno comporterebbe una rivoluzione, poco gradita, del calendario europeo. E soprattutto c’è la questione delle mazzette, che sarebbero state pagate ad alcuni membri africani della Federazione calcistica internazionale, tramite l’ex presidente della confederazione asiatica, il qatariota Mohamed bin Hammam.

La Fifa ha incaricato un comitato etico, guidato dall’ex procuratore americano Michael Garcia, di indagare sull’assegnazione dei Mondiali e le conclusioni delle indagini sono attese nelle prossime settimane. Il rapporto verrà poi girato al giudice tedesco Hans-Joachim Eckert, presidente della commissione di arbitrato, che a quel punto potrebbe decidere di sottrarre la Coppa al Qatar, o comunque di chiedere una nuova votazione.

I russi, che hanno già pianificato di investire 20 miliardi di dollari per dieci stadi, in tutti gli angoli del paese, da San Pietroburgo a Sochi, da Ekaterinburg a Kaliningrad, sembrano non temere l’indagine di Garcia. A Doha, invece, cresce la paranoia. Sono già circolate le voci di un’offerta americana per l’edizione 2022, a maggior ragione dopo l’enorme successo di pubblico dei Mondiali brasiliani, testimoniato dagli indici televisivi. E anche se alla fine il Qatar dovesse sfangarla, resterebbe un altro problema. La nazionale di casa occupa il centesimo posto del ranking Fifa, tra Zimbabwe e Moldavia. Tutti i record negativi del Brasile rischierebbero di durare ben poco.

@vannuccidavide


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